Accanto alle famiglie, passo dopo passo

Quando una famiglia arriva a Peter Pan, porta con sé un carico enorme di preoccupazioni, speranze e necessità pratiche. Non c’è solo la malattia del bambino: c’è tutto un mondo di bisogni che si accavallano e rischiano di travolgere i genitori. In questo percorso, l’assistente sociale diventa un punto di riferimento fondamentale, capace di mettere ordine, costruire ponti con i servizi e alleggerire il peso sulle spalle delle famiglie.

Abbiamo incontrato Giorgia, assistente sociale di Peter Pan ODV, per capire meglio il suo ruolo, dentro e fuori la Grande Casa.

Giorgia, qual è il ruolo di un’assistente sociale?

L’assistente sociale è un professionista che sostiene persone e famiglie in situazioni di difficoltà. Significa ascoltare, orientare, informare sui diritti, fare da ponte con le istituzioni e costruire insieme progetti personalizzati. Non esistono risposte preconfezionate: ogni famiglia ha una storia unica, e il mio compito è aiutarla a ritrovare respiro e prospettiva.

Come si traduce questo ruolo nel contesto di Peter Pan?

Le famiglie che arrivano qui si trovano davanti a tante necessità, non solo sanitarie. Io le aiuto a “mettere ordine” nei problemi e ad affrontarli passo dopo passo. I primi interventi riguardano i documenti fondamentali: codice fiscale, residenza, pediatra per i bambini stranieri, legge 104 per il riconoscimento dei diritti legati alla patologia. Poi si passa alla scuola dei fratelli, all’attivazione di bonus, al supporto nelle pratiche con CAF e ASL.
Il cuore del mio lavoro è progettare insieme un percorso individuale: non offriamo un pacchetto standard, ma un sostegno su misura che cambia a seconda del nucleo, della storia e del momento.

Che differenze noti tra famiglie italiane e straniere?

Le famiglie italiane hanno più dimestichezza con la lingua e con alcuni servizi, ma spesso non conoscono i loro diritti legati alla patologia, come le agevolazioni previste dalla legge o i sostegni economici. Serve quindi un lavoro di orientamento e informazione.
Per le famiglie dall’estero il primissimo passo è la regolarizzazione: senza documenti non si accede a nulla. Per questo mi occupo di prendere appuntamenti, contattare uffici, spiegare la situazione ai servizi e accompagnare la famiglia, così da evitare attese infinite o viaggi a vuoto. La mediazione è fondamentale, soprattutto quando c’è la barriera linguistica o la paura del giudizio.

Quanto conta la rete con il territorio?

Tantissimo. Il mio lavoro è anche quello di “apripista”: contatto scuole, municipi, CAF, ASL, tutto quello che può servire. A volte basta una telefonata preventiva o una relazione sociale per sbloccare una situazione che sembrava senza soluzione. È un lavoro di connessione continua che permette di risparmiare tempo e fatica alle famiglie, già provate dal difficile percorso di cura.

E all’interno di Peter Pan come funziona la collaborazione con gli altri colleghi?

Qui lavoriamo in sinergia. Psicologhe, accoglienza, volontari, ognuno intercetta bisogni diversi. Una psicologa può raccogliere la preoccupazione di un genitore legata a un documento, un volontario può notare difficoltà scolastiche di un fratello. Insieme costruiamo una risposta completa. Questo approccio integrato è ciò che rende unico Peter Pan: le famiglie percepiscono che non sono sole, ma circondate da una rete di sostegno.

Molti pensano che l’assistente sociale sia una figura giudicante. Ti capita di incontrare questo pregiudizio?

Sì, soprattutto con le famiglie straniere, che temono il rischio di vedersi portare via i figli. Io lo affronto con trasparenza, spiegando subito il mio ruolo e mostrando, attraverso i fatti, che sono lì per risolvere problemi e non per crearne. Il pregiudizio svanisce quando vedono che insieme otteniamo risultati concreti: un documento, una scuola, un bonus.

Se dovessi racchiudere il senso del tuo lavoro in poche parole, quali useresti?

Direi accompagnamento e mediazione. Io cammino accanto alle famiglie, non al posto loro. Insieme affrontiamo i passi burocratici, sociali e pratici che rendono più vivibile il percorso di cura. Il sollievo nei loro occhi, quando vedono che un problema si risolve, è la parte più bella di questo lavoro.

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