Franco Locatelli, direttore di Oncoematologia del Bambino Gesù: «È una nuova arma. Abbiamo visto sparire, nelle leucemie, parti tumorali dal midollo osseo»
di Clarida Salvatori
«Un’arma in più. Un potente alleato nella lotta ai tumori»: con queste parole il professor Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Oncoematologia pediatrica del Bambino Gesù, ha definito la tecnica «Car-T» che riprogramma, grazie a una manipolazione della sequenza genetica, le cellule del sistema immunitario e permette loro di concentrarsi su un bersaglio importante come la lotta al tumore.
Questa tecnologia, che negli Stati Uniti è stata sperimentata nel 2012 e che ha appena incassato l’ok dell’Ema (l’agenzia europea del farmaco) per l’avvio della produzione in Italia da parte di Novartis, da gennaio viene impiegata in uno dei centri di eccellenza della sanità laziale: l’ospedale pediatrico Bambino Gesù. «Si tratta – ha spiegato Locatelli – di infusione dei linfociti del paziente. Un modello prototipale di medicina di precisione personalizzata, perché le cellule prelevate da un malato potranno guarire solo lui e nessun altro soggetto». La fase 1 della sperimentazione è partita nell’ospedale del Gianicolo già da tre anni, ma le prime somministrazioni risalgono a gennaio del 2018. «Si tratta di pazienti pediatrici colpiti da leucemia linfoblastica acuta o da neuroblastoma e adulti affetti da linfomi aggressivi a cellule B su cui hanno fallito le precedenti terapie convenzionali e che non avrebbero quindi altre speranze di trattamento. Visti i risultati ottenuti fin qui si può ipotizzare che se impiegata precocemente, questa tecnica potrà aiutare diverse persone».
Finora sono stati trattati otto bimbi con la leucemia e cinque con il neuroblastoma. «E abbiamo visto scomparire – racconta ancora il professor Locatelli – componenti tumorali dal midollo osseo, così come la riduzione della massa tumorale. Il che consente poi di intervenire chirurgicamente su tumori prima inoperabili. Persino le metastasi, in alcuni casi, sono regredite».
Sembra quasi un miracolo. Forse la cura che da anni tanti malati attendevano. E, certo con le dovute precauzioni finché la scienza non farà il suo corso (dal momento che a ottobre partirà la fase 2 della sperimentazione), ci sono margini quanto meno per sperare. «Bisogna entrare nella giusta prospettiva. È un’arma in più, ma certo non sarà infallibile».
Ma quale sarà, in una prospettiva futura, lo sviluppo di questa tecnica rivoluzionaria? «La grande sfida sarà traslare il tutto sui tumori solidi che mettono in atto risposte più importanti e più aggressive – conclude il direttore -. La perimetrazione delle cellule di massa è più complicata. Ma i dati che arrivano dall’America parlano di buoni risultati dell’applicazione sui neuroblastomi e anche sui tumori celebrali. L’obiettivo sarà ampliare pian piano il campo e arrivare a curare più pazienti possibili».
corriere.it 29.8.18
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