Cureremo il cancro leggendo la sua “carta d’identità”

Fonte  Corriere.it
Data  18.6.11
Titolo   Cureremo il cancro leggendo la sua carta d’identità
Gli specialisti concordano: ogni tumore è così particolare da poter essere considerato come una «malattia» rara (Adriana Bazzi)
Tumori: ognuno ha una sua «carta d’identità» genetica
CHICAGO — I giornali dell’epoca l’avevano definita una “dichiarazione di guerra al cancro”. Tecnicamente si chiamava National Cancer Act: firmando questa legge, nel dicembre del 1971, l’allora Presidente americano Richard Nixon assicurava finanziamenti alla ricerca, rendeva indipendente il National Cancer Institute americano e, soprattutto, incoraggiava l’idea che i tumori potevano essere scoperti e curati. «A quarant’anni di distanza — ha commentato George W. Sledge, presidente dell’Asco (American Society of Clinical Oncology) in apertura del meeting annuale della Società, a Chicago — la sopravvivenza media, a cinque anni, per tutti i tipi di tumore, è aumentata del 18 per cento. Questo significa che due pazienti su tre vivono almeno cinque anni dopo la diagnosi di malattia». Gli esperti parlano di “sopravvivenza media”, ma ogni tumore è diverso dall’altro, tanto da essere oggi considerato una malattia “rara”: ha una sua “carta di identità genetica” e si comporta, nei confronti della terapia, in maniera differente.
Oggi alcuni tumori sono guaribili, altri curabili (si parla di “cronicizzazione” della malattia come fosse un diabete) e altri sono ancora in cerca di cure efficaci e rosicchiano sopravvivenze, mese dopo mese, grazie ai nuovi farmaci in sperimentazione. La guerra al cancro non è ancora finita. Nixon era stato troppo ottimista, ipotizzando che il problema sarebbe stato risolto in una decina di anni, ma oggi le ricerche stanno avanzando molto più rapidamente che in passato, soprattutto grazie al Progetto Genoma. La quantità di mezzi a disposizione per controllare la malattia sono ben di più rispetto ai soli chemioterapici dell’epoca nixoniana: non solo farmaci biologici, ma anche vaccini e nuovi sistemi di radioterapia. E l’Asco di quest’anno, anche se non si è distinto per la presentazione di “big discoveries”, scoperte “fondamentali” per la cura dei tumori, ha però rappresentato un “major shift in war of cancer” come ha titolato in prima pagina il Wall Street Journal, un punto di svolta nella cura dei tumori.
Oggi si stanno costruendo gli “atlanti genetici” dei tumori, le mappe, cioè del Dna di singole neoplasie con le diverse mutazioni, che possono aiutare gli specialisti a identificare le cure più appropriate caso per caso. E soprattutto ad adattarle alle modificazioni cui va incontro il tumore nel tempo. Per questo le associazioni di più farmaci (come quella di trastuzumab e lapatinib, diretti contro il recettore Her2 nel tumore alla mammella) o l’impiego di nuove molecole “multifunzione”, capaci cioè di agganciare più bersagli molecolari (come l’afatinib, ancora in sperimentazione, che aggredisce un’intera famiglia di enzimi, gli ErbB, nel tumore al polmone) si rivelano strategie vincenti. «Si stanno anche facendo strada — commenta Filippo De Braud, oncologo all’Istituto Europeo di Oncologia a Milano — le terapie di mantenimento: prolungando, per esempio, il trattamento con imatinib in certi tumori dell’intestino, la sopravvivenza migliora. E si stanno anche valutando schemi di “stop and go”, cioè di terapie a intermittenza, in modo da ridurre i costi. Che con queste nuove terapie stanno continuando a crescere».
Si capisce, a questo punto, come anche gli schemi degli studi clinici, condotti per valutare l’efficacia dei farmaci andranno rivisti: un’altra rivoluzione in arrivo, oltre a quella che interesserà l’organizzazione sanitaria. «Dovendo scegliere un ospedale meglio orientarsi su uno che sia dotato di una biobanca, — commenta Pierfranco Conte, direttore dell’Oncologia all’Università di Modena-Reggio Emilia —. Di fronte alla necessità di costruire singole terapie per singoli pazienti, è indispensabile anche cambiare i percorsi clinici. Oggi più che in passato sono importanti i test di laboratorio per valutare la biologia molecolare delle cellule tumorali (conservati nelle biobanche) e le modificazioni nel tempo». Tanto più se la terapia non è fatta soltanto di farmaci che aggrediscono il tumore, ma anche di farmaci che, invece agiscono sul sistema immunitario. Un’altra rivoluzione in arrivo. L’idea è quella di aiutare l’organismo a recuperare le sue capacità di difesa verso i tumori, stimolandolo con farmaci (come l’ipilimumab il nuovo anti-melanoma) o con vaccini (come quello già approvato dall’Fda per il tumore alla prostata). «L’ipilimumab cambia la storia naturale della malattia — commenta Renzo Canetta, un italiano approdato ai vertici della Bristol Meyer Squibb, come direttore mondiale della ricerca oncologica — e cambia anche il modo che l’industria ha di collaborare. A breve partiranno studi sul melanoma con l’ipilimumab e il vemurafenib della Roche che, invece, colpisce un bersaglio della cellula tumorale».
Nelle strategie anti-cancro c’è, però, un aspetto trascurato in passato, e poco considerato ancora oggi: quello della prevenzione primaria sui fattori di rischio. «La sopravvivenza è migliorata, ma l’incidenza non è diminuita — commenta Sergio Pecorelli, direttore dell’Oncologia all’Università di Brescia e presidente dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco — perché lo Stato, in questo, investe sempre poco. Come del resto investe poco anche nella ricerca di base che, nel (quasi) 100 per cento dei casi è pubblica». Se si vuole vincere la guerra si dovrà pensare anche a questo.

 

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