Dall’invecchiamento precoce ai disturbi cardiaci, gli effetti collaterali delle cure anti-cancro sui giovani

Uno studio pubblicato sul Journal of National Cancer Institute, condotto su un campione di oltre 7mila ex malati di tumore tra i 18 e i 49 anni, sostiene: i 18-29enni con alle spalle una storia oncologica hanno una qualità di vita media, correlata alla salute, simile a quella misurata tra i 40-49enni non ex pazienti
di TINA SIMONIELLO
I GIOVANI di 18-29 anni che da bambini hanno avuto un tumore e sono guariti dalla malattia hanno una qualità della vita correlata alla salute simile a quella riscontrata tra persone di mezza età che non hanno avuto la loro stessa storia clinica. E la colpa per così dire, non è del cancro di per se stesso, ma delle conseguenze a lungo termine dei trattamenti – chemioterapia, radioterapia o chirurgia – a cui questi ex pazienti sono stati sottoposti da bambini per sconfiggere la malattia. Uno studio, pubblicato sul Journal of National Cancer Institute, condotto da ricercatori della Dana-Farber/Boston Children’s cancer and blood disorders center e della Harvard school of public Health, ha misurato, e anche espresso in termini numerici, la condizione dei lungo-sopravviventi al tumore pediatrico indagando un campione di oltre 7000 ex pazienti tra i 18 e 49 anni partecipanti al Childhood cancer survivor study, un vasto studio multicentrico che coinvolge negli USA più di 14 mila sopravvissuti al cancro infantile diagnosticato prima dei 21 anni, tra il 1979 e il 1986.
A 20 anni come a 40. I risultati? Nei lungo-sopravviventi il decremento della qualità della vita, un processo che di regola va di pari passo con l’invecchiamento, è sensibilmente precoce. Stando all’indagine, i 18-29enni con una storia oncologica hanno una qualità della vita media correlata alla salute che gli autori dello studio, basandosi su una scala che va da zero a 1 (dove 1 per perfetto stato di salute e zero per decesso), hanno espresso con un punteggio pari a 0.78: un valore simile a quello misurato tra i 40-49enni non ex pazienti. E anche un valore che diminuisce all’aumentare delle condizioni di cronicità. Più in dettaglio: i “sopravvissuti” di qualunque età che non riferivano di avere nessuna malattia cronica hanno in media un punteggio di 0.81, quelli con due patologie croniche di 0.77, chi invece ha riportato tre o più condizioni di cronicità di 0.70. Il punteggio di chi non ha condizioni di cronicità era paragonabile a quello di chi non ha avuto un tumore. La variabile chiave insomma, o più semplicemente il fattore che determina la sensazione, e la condizione in effetti, di benessere negli individui in studio è dunque la presenza o l’assenza di patologie croniche. Nei confronti delle quali, chi ha affrontato trattamenti contro il cancro da bambino o adolescente è, come sottolineano gli autori dello studio, più a rischio. Parliamo di disturbi cardiaci, malattie a carico del sistema endocrino, infertilità. Oggi anche l’80% dei bambini che vengono diagnosticati con tumore possono contare su una sopravvivenza a cinque anni. Ciononostante, a compromettere questo grande successo iniziale ottenuto nei confronti della malattia, c’ è il dato secondo il quale il 40 % circa degli ex pazienti – si legge nello studio – affronta una qualche cronicità, più o meno severa, nel corso della vita.
Passi avanti ed effetti tardivi. “Le stime dicono che nel 2000 un giovane adulto su 900 tra i 16 e i 34 anni era un sopravvissuto al tumore, oggi si parla di un guarito ogni 450. E che attualmente in Europa ci siano 300-500mila lungo-sopravviventi, e più di 30mila in Italia. Grandi passi avanti, in tempi relativamente brevi, ottenuti grazie al progressivo miglioramento dei protocolli terapeutici per l’età pediatrica e adolescenziale”, dice Franca Fagioli, presiedente di Aieop, Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica che aggiunge: “Tuttavia, a fronte di questi dati incoraggianti, è noto che i trattamenti oncologici somministrati nel momento particolare della crescita possono determinare patologie croniche anche a distanza di anni o effetti tardivi che possono influire sulla qualità e quantità di vita dei lungo-sopravviventi. Gli effetti tardivi non si manifestano però in tutti i pazienti, l’intensità e la probabilità che lo facciano dipendono dal tipo di tumore, dalla dose e dal tipo di chemioterapia o radioterapia, da eventuali interventi chirurgici, e dall’età del trattamento”. Il problema dei pazienti off therapy (che cioè hanno concluso le cure, ndr), in termini di qualità di vita sarà uno dei temi del prossimo congresso nazionale Aieop del 22-24 maggio a Verona.
“Abbiamo in Italia 3 milioni di sopravvissuti al cancro. C’è dunque una grande sensibilità di tutta l’oncologia italiana, in quella pediatrica come in quella per gli adulti, nei confronti della tossicità a lungo termine dei trattamenti oncologici, sul piano clinico e di quello psicosociale e sulla survivorship care in generale – conferma Carmine Pinto, presidente di Aiom, l’Associazione italiana di oncologia medica .Va detto che sebbene ancora non possiamo conoscerne gli effetti a lungo termine visto che parliamo di farmaci come gli anticorpi monoclonali in uso da 4-5 anni, i trattamenti attuali sono meno tossici e più efficaci di quelli del passato”.

repubblica.it 17.5.16

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