I veleni del siderurgico possono anche uccidere

Per gli esperti l’esposizione continua porta alla morte TARANTO – «L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte. I modelli di analisi messi a punto hanno consentito di stimare quantitativamente il carico annuale di decessi e di malattie che conseguono all’esposizione all’inquinamento». Sono le conclusioni finali della perizia epidemiologica portata a termine dai tre esperti nominati dal gip Patrizia Todisco per l’incidente probatorio inserito nell’inchiesta sull’inquinamento prodotto dall’Ilva. Ieri mattina Annibale Biggeri, oncologo all’università di Firenze, e Francesco Forastiere, epidemiologo della Asl di Roma, hanno consegnato la relazione, di 226 pagine, al magistrato. La perizia approderà in aula il 30 marzo per essere ammessa al contradditorio tra le parti. Con questo lavoro la terna di periti, ieri assente l’epidemiologa Maria Triassi, ha risposto ai tre quesiti formulati dal gip. Il primo chiedeva quali sono le patologie interessate dagli inquinanti emessi dallo stabilimento. Dopo aver premesso che gli inquinanti viaggiano con le polveri Pm10 prese in considerazione e che sono in concentrazioni più alte vicino agli impianti e nei quartieri Tamburi, Borgo, Paolo sesto e a Statte, gli esperti elencano gli effetti acuti e cronici e legano, secondo letteratura scientifica, a ogni famiglia di inquinanti le patologie. Hanno suddiviso, inoltre, gli esiti sanitari con «forte e consolidata evidenza scientifica» (patologie cardiovascolari, respiratorie e tumorali da quelli con «evidenza scientifica suggestiva» (malattie neurologiche, renali e il tumore dello stomaco tra i lavoratori del siderurgico). Il secondo quesito mirava a stabilire quantitativamente decessi e ricoveri attribuibili alle emissioni. Adoperando il metodo «case-crossover» e calcolando malattie e morti riferibili alle concentrazioni di Pm10, i periti hanno raccolto questi dati. Dal 2004 al 2010 a Taranto «si stimano» 83 decessi attribuibili ai superamenti di 20 milligrammi al metro cubo della concentrazione annuale media del Pm10, 193 ricoveri (malattie cardiache) e 455 (respiratorie), nei quartieri Borgo e Tamburi si stimano 91 morti e 160 ricoveri (cardiache) e 219 (respiratorie). Il terzo quesito (impatto delle patologie croniche su decessi e ricoveri) ha indotto i periti ad ampliare l’indagine su 321.356 persone tra Taranto, Massafra e Statte residenti almeno dal 1998. Gli esperti chiariscono che «le esposizioni avvenute negli anni 60-80 possono ritenersi responsabili dei casi di tumore alla vescica, stomaco e dei tessuti molli» e sottolineano che «gli operai in servizio negli anni 70-90 hanno avuto un eccesso di mortalità per tumori allo stomaco, alla pleura, alla vescica, alla prostata». L’Ilva affida all’ingegner Adolfo Buffo il primo cauto commento. «Non è emerso – sottolinea tra le altre cose – un eccesso di mortalità per tumori per le persone che hanno lavorato nello stabilimento che, però, sono stati i più esposti. Non sono stati considerati i fattori di rischio individuali. Ma, soprattutto, sono gli stessi periti che ci dicono che si dovrebbe tenere conto, per una corretta interpretazione dei dati, della riduzione negli anni dei livelli emissivi». (Cesare Bechis)

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