Il tramonto dei trapianti, "Ripareremo reni e fegato"

ROMA – Più che un semplice laboratorio, il dipartimento di Ematologia ed Oncologia dell’IRCCS-Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ospita una vera e propria «fabbrica biotecnologica», una fucina di cellule staminali mesenchimali – vale a dire capaci di differenziarsi in diversi tipi di tessuto e pronte per l’uso. E’ qui che la ricercatrice Maria Ester Bernardo sta plasmando un pezzo importante per la medicina del futuro ed è sempre qui che si esplorano le nuove frontiere aperte dallo sviluppo delle biotecnologie. Lei è un cervello rientrato. Dopo un’importante esperienza all’estero, ha deciso di portare le proprie competenze in Italia. Il dottorato in Olanda le ha permesso di imparare tutto ciò che poteva sulle cellule staminali mesenchimali, aggiungendo queste competenze a quelle già sviluppate sulle cellule ematopoietiche con le ricerche condotte con il gruppo di Franco Locatelli al Policlinico San Matteo di Pavia. Ma è a Roma che ha deciso di passare dalla teoria alla pratica, portando le staminali mesenchimali dal laboratorio alla clinica. Che cosa sono e a cosa servono le cellule staminali mesenchimali? «Sono un tipo di cellule multipotenti, cioè capaci di differenziarsi in vari tipi di tessuto, come quello osseo, cartilagineo o adiposo. Possono essere prelevate dal midollo osseo oppure dal sangue della placenta, in piccolissime quantità. E’ poi in laboratorio che è possibile moltiplicarle, raggiungendo numeri clinicamente rilevanti e quindi utilizzabili sui pazienti. Quello che abbiamo fatto è stato creare un metodo in grado di prelevare, espandere e reimpiantare le cellule mesenchimali in modo sicuro ed efficace». Finora quali sono le applicazioni che avete sperimentato con successo? «Da circa sette anni ci stiamo occupando di cellule mesenchimali e oggi abbiamo raggiunto importanti tra- guardi clinici sia nella medicina rigenerativa sia nei trapianti ematopoietici». In particolare a che cosa si riferisce? «Sugli esseri umani abbiamo ottenuto risultati molto promettenti nella cura di alcune malattie degenerative e infiammatorie croniche. Per esempio, nei pazienti affetti dal morbo di Crohn, una patologia dell’apparato digerente, siamo riusciti a chiudere e quindi a curare le fistole enterocutanee, una complicanza invalidante della malattia. Abbiamo inoltre verificato che le cellule staminali mesenchimali espanse in laboratorio sono efficaci contro una patologia che insorge quando, dopo un trapianto di cellule staminali emopoietiche, il sistema immunitario del donatore aggredisce cellule e tessuti del ricevente, riconoscendoli come estranei. Si tratta di una complicanza che colpisce all’incirca il 25-30% dei pazienti trapiantati. E non basta: le cellule mesenchimali facilitano anche l’attecchimento delle cellule ematopoietiche nei trapianti di midollo, riducendo così il rischio di rigetto». Questa fabbrica di cellule potrebbe un giorno diventare anche una fabbrica di organi? «Per il momento abbiamo verificato, in modelli animali, che l’impianto delle cellule mesenchimali può servire a riparare organi danneggiati, come i reni o il fegato. Significa che in futuro potremo sperare di ridurre significativamente il numero dei pazienti che hanno bisogno di un organo nuovo, perché potremmo essere in grado di riparare quello danneggiato». Quanto tempo dovranno ancora aspettare i pazienti per sperimentare i benefici di queste terapie? «Per alcune applicazioni ci vorranno 5-6 anni prima di poterle utilizzare su tutti i pazienti. Per altre bisogna ancora accertarsi che siano sicure ed efficaci. Per il momento le nostre ricerche in vitro, sugli animali e su un numero ristretto di pazienti, stanno comunque dando risultati incoraggianti. Credo che le biotecnologie e l’utilizzo delle staminali, in particolare, potranno rivoluzionare la medicina tradizionale». Lavorare con le cellule staminali è sempre delicato: non vi creano problemi di tipo etico? «Tutte le nostre ricerche e le nostre sperimentazioni avvengono nel pieno rispetto dei criteri e dei limiti imposti dalla legge europea e dalla legge italiana. Non utilizziamo, infatti, gli embrioni per ottenere cellule staminali pluripotenti, ma sfruttiamo le cellule staminali adulte prelevate dal midollo osseo e dal sangue della placenta». (intervista di Valentina Arcovio)

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