L’ora delle medicine su misura.

Intervista a Raju Kucherlapati, commissario di Barack Obama sulla Bioetica e genetista ad Harvard. Dall’atlante dei tumori alla valutazione dei rischi, ecco come il sequenziamento del genoma sta rivoluzionando la ricerca.

BOSTON – È da circa 10 anni, da quando il genoma umano venne sequenziato per la prima volta, che l’espressione “medicina personalizzata” ha iniziato a far capolino dalle pagine dei giornali, creando confusione e false speranze in quanti avrebbero voluto usufruirne subito. Solo in tempi recenti stiamo iniziando a cogliere i primi frutti di quelle promesse: frutti che forse non matureranno con noi, ma con i nostri figli e i figli dei nostri figli. Strade personalizzate per curare i tumori e altre patologie, scegliendo farmaci e trattamenti sulla base del dna di ogni singolo individuo. A guidare la corsa verso la “personalized medicine” sono gli Stati Uniti, nella convinzione di potervi trovare l’elemento chiave per rinnovare un sistema sanitario molto costoso e poco efficiente. Ne abbiamo parlato con Raju Kucherlapati, professore di Genetica alla Harvard Medical School e commissario voluto da Barack Obama alla Bioetica. Ma anche uno dei fondatori del Cancer Genome Atlas 1, una delle manifestazioni più rappresentative della cosiddetta “rivoluzione del Dna”.
Iniziamo dalla genetica dei tumori. Che cos’è il Cancer Genome Atlas?
“Si tratta di un progetto avviato nel 2006 negli Stati Uniti dal National Cancer Institute e dal National Human Genome Research Institute. L’obiettivo è cercare di capire nel dettaglio quali cambiamenti avvengono durante la trasformazione di una cellula normale in una cellula tumorale. Da un paziente si
estraggono sia campioni di cellule tumorali, sia campioni di tessuto sano che vengono analizzati sotto ogni aspetto. Abbiamo stabilito che esaminando 500 campioni di uno specifico tumore e 500 campioni dello stesso tessuto sano è possibile ottenere un quadro complessivo di tutti i cambiamenti genetici che avvengono in quel particolare tumore”.
Fino ad oggi, quali scoperte dobbiamo all’atlante genomico del cancro?
“Per ora abbiamo completato l’atlante di due tumori: il glioblastoma (tumore del cervello) e il carcinoma ovarico – lo studio 2 è di pochi giorni fa. Per entrambi, sappiamo in maniera dettagliata non solo le mutazioni più ricorrenti, ma anche le più rare: quali sono i geni coinvolti e quali i fattori molecolari più spesso legati a una prognosi ben precisa. Queste informazioni ci stanno aiutando a comprendere meglio i diversi attori molecolari che risultano alterati nel tessuto malato, cosa comporta la loro presenza e chi bisogna cercare di prendere di mira per vincere il cancro”.
Lo studio della genomica di ogni tumore è una storia a se stante, oppure ci sono delle similarità che possono indicare nuove vie di cura?
“Questo approccio è estremamente utile per avere una visione d’insieme delle differenze e delle similarità tra i diversi tumori. Grazie al confronto genetico, abbiamo gli strumenti per stabilire se un farmaco sviluppato per un particolare tipo di cancro possa essere efficace anche in altri. In passato – ma ancora adesso per alcuni tumori – esisteva un solo tipo di trattamento. Se a una donna veniva diagnosticato il cancro ovarico, ad esempio, l’unica cosa che poteva fare era sottoporsi a operazione chirurgica e successivamente a chemioterapia. Ora, invece, esaminando i cambiamenti genetici è possibile identificare dei target che possono essere trattati con strumenti più efficaci della chemio. Una volta che vengono identificati nuovi target, inoltre, è più facile che le compagnie farmaceutiche cerchino di sviluppare farmaci mirati”.
Possiamo parlare di una rivoluzione della medicina?
“Non solo di una rivoluzione, ma di una rivoluzione enorme, in cui la genetica dei tumori è solo una delle due facce. L’altra, più generale, prende il nome di “medicina personalizzata”. In media, le terapie contro le principali malattie che affliggono gli esseri umani sono efficaci su meno del 50% della popolazione. Nel caso del cancro, i farmaci funzionano per circa il 25% dei malati. Quando un medico tratta un paziente con un determinato farmaco, dunque, ha solo il 25% delle possibilità che il trattamento funzioni; nel restante 75% non accade nulla. Risolvere questo problema è una delle priorità per la medicina del ventunesimo secolo”.
Cosa vuol dire, in sintesi, medicina personalizzata?
“L’idea è di fare dei test genetici per ogni persona, così da poter determinare i trattamenti e le dosi più indicate per ciascuno sulla base del suo Dna. In tre passaggi, vuol dire: 1) essere nelle condizioni di fare delle diagnosi estremamente accurate; 2) poter utilizzare queste informazioni per determinare la prognosi del paziente; 3) utilizzare i dati per prendere le decisioni terapeutiche più efficaci per quel paziente. Anche se a prima vista può sembrare una spesa insostenibile, in realtà è una svolta molto importante dal punto di vista dei costi. La maggior parte dei nuovi farmaci (in particolare quelli contro il cancro) è molto costosa, i trattamenti possono arrivare fino a 50.000 dollari. Con dei semplici test è possibile determinare chi ha le caratteristiche genetiche per rispondere a una determinata terapia: in questo modo non solo si risparmia, ma si evita anche di far perdere tempo al paziente con delle terapie inutili, moltiplicando così le possibilità di trovare la via più giusta per lui”.
Secondo diversi ricercatori, in pochi anni anni il costo del sequenziamento completo del genoma scenderà a prezzi sempre più abbordabili. Cosa ne pensa?
“Sono stato un supporter dello Human Genome Project, il progetto che dieci anni fa portò al primo sequenziamento del genoma umano. Allora, l’intero processo costò circa 2,5 miliardi di dollari. Pochi giorni fa la compagnia Illumina ha annunciato di essere in grado di completare il sequenziamento di tutto il Dna umano per 9.500 dollari. Il costo, dunque, si è ridotto drasticamente e continuerà a scendere grazie alla competizione. Questa considerazione è ancora più lampante per il sequenziamento dei geni (exome sequencing, ndr): il Beijing Genomics Institute, ad esempio, lo fa a soli 999 dollari. Non mi stupirei se molto presto si scendesse sotto i 200”.
Che tipo di scenario potrebbe configurarsi?
“Nel prossimo futuro sarà possibile fare, con un semplice prelievo del sangue, l’analisi del Dna di tutti i neonati, per poi conservare le informazioni genetiche come parte del loro profilo medico elettronico (Electronic Medical Record). Questo scenario consentirà non solo di conoscere fin dal principio la presenza di eventuali problemi, ma anche di sapere se si è più o meno predisposti a sviluppare determinate malattie, così da poterle prevenire anche attraverso lo stile di vita. Ad esempio, se una persona sa di essere più a rischio di sviluppare un tumore, potrebbe monitorarsi con maggiore frequenza; se un’altra è soggetta all’obesità, potrebbe adottare uno stile di vita e una dieta più consoni. Il fatto che l’informazione sia conservata nei Medical Records la rende accessibile in qualsiasi circostanza, soprattutto nelle situazioni d’emergenza”.
Quali sono, secondo lei, gli ostacoli principali all’avvento della medicina personalizzata?
“I problemi bioetici sono diversi: me ne sto occupando personalmente su incarico del presidente Barack Obama. Qui negli Stati Uniti, una delle questioni più discusse era l’eventualità che le compagnie assicurative potessero utilizzare queste informazioni per decidere se concedere o meno la polizza assicurativa. Per risolvere questo problema nel 2008 è stato varato il Genetic Non Discrimination Act, una legge che vieta sia alle compagnie assicurative che ai datori di lavoro di discriminare le persone in base alle informazioni genetiche. Il secondo aspetto riguarda la privacy, e dunque la necessità di lasciare a ogni singolo individuo la scelta di se e quali informazioni rendere accessibili dal proprio profilo elettronico. Altri problemi hanno a che fare con i rischi e le predisposizioni: molte persone non vogliono affatto sapere se sono o meno soggette a determinate malattie, poiché temono che il fatto di saperlo possa condizionare tutta la loro vita. Ad esempio, quando il Nobel James Watson (lo scienziato che, assieme a Francis Crick, rivelò la struttura del Dna, ndr) decise di partecipare allo Human Genome Project, chiese espressamente di “cancellare” dal profilo di tutti i suoi geni la parte relativa alla suscettibilità all’Alzheimer. Semplicemente, era qualcosa che non voleva sapere. Tutto il resto, tranne quel pezzetto di informazione, è stato reso pubblico”.
Cosa di questo futuro è già realtà?
“La realtà sta cambiando sotto i nostri occhi. Primo esempio: nel 2004-2005 per i malati di cancro al polmone non c’erano test genetici; oggi molti pazienti vengono sottoposti a test per 10 diversi geni. Le decisioni su quali terapie intraprendere si basano sui risultati di questi test. Secondo esempio: quest’anno un gruppo di giornalisti del Milwaukee Sentinel Journal ha vinto il premio Pulitzer con tre storie. Una riguardava un bambino affetto da una continua perforazione dell’intestino: a 17 anni era stato sottoposto senza successo a un centinaio di operazioni. I medici non riuscivano a capire la causa; alla fine si sono rivolti a un biologo molecolare per il sequenziamento dei geni. Grazie al test, hanno identificato i cambiamenti genetici responsabili del disturbo e stabilito che un trapianto di midollo osseo avrebbe potuto risolvere il problema. Così è stato: ora il ragazzo sta bene. Si potrebbe continuare con esempi sul cancro al seno e la possibilità di personalizzare dosi e terapie sulla base delle capacità individuali di metabolizzare un farmaco”.
Gli esempi che ci ha portato raccontano di casi isolati. E’ immaginabile un cambiamento di scala?
“Il punto è proprio questo: finora stiamo cambiando la vita di pochi pazienti. Possiamo cambiare quella di milioni di persone? Negli Stati Uniti ci sembra possibile. In questo paese, infatti, tutte le prescrizioni mediche vengono compilate dalle pharmacies. Nell’ultimo anno almeno quattro grandi catene farmaceutiche (CVS, Medco, Walmart e Walgreens, che servono a testa 30-40 milioni di persone) hanno iniziato a offrire una serie di test genetici ai pazienti che si presentano con determinate prescrizioni. Sono cose che succedono oggi e ci dimostrano che una rivoluzione è già in corso”. 

(di Giulia Belardelli)

Fonte: repubblica.it
Data: 11.7.11

 

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