“Peter Pan non è come casa mia, ma non in senso negativo”. Inizia così il racconto di Linda, 12 anni, con una maturità che disarma. Ospite insieme alla sua mamma Chiara nella Grande Casa di Peter Pan, a Roma, Linda racconta la sua esperienza con parole limpide, dirette, capaci di restituire con forza la complessità – e la bellezza inattesa – del percorso che sta affrontando.
“Qui sto bene. È diverso da casa, ma è un ‘diverso’ che mi piace: ci sono tante persone, non mi annoio mai. A volte, quando sono in ospedale, non vedo l’ora di tornare a Peter Pan”.
Una nuova quotidianità, fatta di relazioni e piccoli rituali
Linda ama le attività artistiche, in particolare la ceramica. “Mi rilassa, mi fa sentire parte di qualcosa. Anche quando sto da sola con il tablet e le cuffie, sapere che intorno ci sono altre persone mi rassicura”.
È un senso di appartenenza che si rinnova ogni giorno e che si rafforza anche attraverso le relazioni. Come quella con Seara, una ragazza della sua stessa età incontrata a Peter Pan: “Con lei c’è un confronto vero, ci capiamo su cose che con altri amici non riesco a dire. Mi manca non averla qui, ci incontriamo quando torna per i controlli”.
Chiara, sua madre, osserva: “Dopo due anni di terapie affrontate a casa, questa esperienza ci ha riportate in una socialità. Alla sua età è fondamentale sentirsi parte di un gruppo, soprattutto ora che non può frequentare la scuola come prima”.
Piccole cose, grande valore
La consapevolezza che traspare dalle parole di Linda è profonda: “Anche nei momenti brutti, cerco di trovare un lato positivo. Le cose che prima mi sembravano banali – stare a letto a giochicchiare – oggi le capisco davvero. Mi riempiono”.
“Mi basta un passettino in più per stare meglio – dice – non cerco la felicità assoluta, ma quel passo in più per tornare a esserlo”.
Una forza luminosa
Per Chiara, sua figlia è “un astro luminoso”. “Quando arriva quel piccolo spiraglio di miglioramento, lei ci si fionda con tutta sé stessa. E riesce sempre a dirmi: ‘Pensavo peggio’. Ha una forza d’animo pazzesca, è il nostro motore”.
Un’energia che Linda ha portato anche fuori dalla Casa, come quando emozionatissima ha accompagnato Draper in campo agli Internazionali di Tennis di Roma. “Per una volta essere vista diversa mi ha onorato – racconta – ero lì per rappresentare tutti i ragazzi come me”.
La casa, l’accoglienza, la condivisione
Il loro arrivo a Peter Pan è stato improvviso, dopo un lungo ricovero. “Quando ci hanno detto che saremmo state dimesse e potevamo venire qui, erano le sei di sera. Avevamo solo una valigia e Linda stava malissimo. Non sapevo come avremmo fatto”, ricorda Chiara.
Ma appena arrivate, tutto è cambiato. “Abbiamo trovato tutto: lenzuola, asciugamani, persino due spazzolini col dentifricio. Un’accoglienza che ci ha aperto il cuore”. E poi quella stanza, da cui si affaccia sul parco con i pappagalli verdi. “Anche la bellezza del posto cura – dice Chiara – ti senti accolta in ogni dettaglio”.
Con il tempo hanno reso la stanza più loro, l’hanno personalizzata. E la cucina è diventata un luogo di socialità: “Ci si diverte, si chiacchiera, si condividono le voglie – tante! – di una ragazza in cura”.
La forza della rete, il valore del gruppo
“La condivisione è la cosa più importante”, ribadisce Chiara. “Quando vedi arrivare mamme nuove, riconosci quegli occhi spaesati. Ti verrebbe voglia di riscrivere la storia, per te e per loro. Ma poi capisci che puoi offrire una mano, un consiglio, una parola. E che qui, anche chi non ti conosce per nulla, può e sa aiutarti meglio di chi ti conosce da sempre”.
La rete di sostegno che si crea a Peter Pan è fatta di gesti quotidiani, come chiedere a una mamma di tenere d’occhio un bambino per dieci minuti. “È tantissimo, perché qui siamo tutti nella stessa barca. E non pesa chiedere aiuto”.
Una famiglia che tiene duro, insieme dentro e fuori la pentola a pressione
Chiara e Linda hanno trovato anche il modo di preservare il loro equilibrio familiare, alternandosi con il papà di Linda: “Siamo molto diversi, e Linda è bravissima a usare questa diversità a suo vantaggio. Con me fa certe cose, con lui altre. È un modo per respirare tutti. Anche il fratellino, che ha quattro anni in meno, viene nei weekend. Ora si vogliono più bene di prima”, raccontano sorridendo. “Mi manca, però almeno nel poco tempo in cui ci vediamo, non litighiamo!” una grande ammissione da parte di Linda. “E questo è già un gran successo perché loro litigano in continuazione” continua Chiara.
“I ricoveri sono una vera e propria pentola a pressione” aggiungono. Dentro l’ospedale lo spazio si fa minuscolo, il tempo lento, la valvola chiusa. Appena può uscire, Linda chiede una sola cosa: tornare a Peter Pan. Quel piccolo passo in più – un letto familiare, il giardino, le chiacchiere in cucina – è già felicità.
Perché Peter Pan?
Linda lo dice con semplicità disarmante: “Alla fine qua il tempo passa, e non so nemmeno come. Non mi annoio mai. C’è scuola la mattina, passeggiate il pomeriggio, pic-nic con le mie amiche arrivate dalla Toscana, giornate al parchetto sotto i platani.” Chiara conferma – “Una volta, prima del trapianto ha camminato per più di 10 km facendo da Cicerone in giro per Roma alle sue amiche”. Trova una forza incredibile.
Sempre Chiara conclude così: “Qui abbiamo trovato tutto quello di cui avevamo bisogno. È un posto dove ti puoi permettere di decomprimere. Dove ti puoi sentire parte di qualcosa. Dove puoi affrontare questa lunghissima maratona sapendo che non sei solo. E io non vedo l’ora di vederla volare”
L’appello
Le parole di Linda e Chiara raccontano cosa rende speciale la Casa di Peter Pan: la forza della comunità, la cura dei dettagli, la certezza di non restare soli. Sostenere Peter Pan significa tenere aperta la valvola di sicurezza di tante “pentole a pressione” e regalare a bambini e ragazzi uno spazio dove il tempo vola senza noia.
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