Non tutti gli eroi indossano un mantello: la comunicazione degli operatori incontra i bisogni di genitori e bambini nel reparto oncologico

L’importanza della comunicazione nell’affrontare una patologia come il cancro, in crescita negli ultimi anni, è cruciale a diversi livelli d’interazione (che si tratti di comunicazione medico-paziente, paziente-famiglia, genitori-figli). Sempre più forte è dunque l’esigenza di figure che facilitino tale processo.
A tal proposito è stato condotto uno studio, parte di una ricerca più ampia, sulla comunicazione nell’ambito dell’oncologia pediatrica. I soggetti coinvolti erano divisi principalmente in tre gruppi: 34 bambini con cancro tra gli 8 ei 16 anni, i 59 rispettivi genitori, e 51 soggetti sopravvissuti al trattamento che al momento della diagnosi avevano tra gli 8 e i 16 anni, con un range di età tra i 15 e i 30 anni. Gli strumenti utilizzati erano delle vignette che raffiguravano varie situazioni basate su tematiche comuni dell’iter dei pazienti pediatrici oncologici, verso le quali i tre gruppi dovevano esprimere delle preferenze rispetto a come volevano che la situazione raffigurata si svolgesse. Gli elementi all’interno di esse variavano a seconda del soggetto a cui venivano presentate. In particolare è emerso come pazienti, genitori ed ex-pazienti indicavano come importante nell’81% dei casi l’empatia dei professionisti. Nel 70% delle situazioni i tre gruppi di soggetti preferivano che informazioni sulla malattia fossero date a bambini e genitori simultaneamente. Vi sono tuttavia differenze nelle preferenze riguardo la quantità di informazioni da dare ai bambini; tale differenza era da associare all’età e allo stato emotivo dei pazienti pediatrici. Inoltre, nel 71% dei casi i tre gruppi preferivano che i bambini partecipassero alle decisioni mediche. Tale preferenza era largamente associata all’età del paziente (Zwaanswijk et al., 2011).
Quando ad avere il cancro è il proprio figlio… le conseguenze sulla famiglia e sui genitori
La diagnosi di cancro in un bambino diventa una fonte destabilizzante per l’intera famiglia, ma a tenere le redini del nucleo familiare è la coppia genitoriale che prova un forte senso di inadeguatezza scaturito dall’impossibilità di proteggere il bambino dalla malattia.
La sintomatologia prevalente, soprattutto nel genitore che assiste maggiormente il bambino, è quella depressiva, la quale si amplifica con la comparsa delle problematiche comportamentali che il piccolo manifesta lungo il decorso patologico. I genitori potrebbero percepire un senso di oppressione causato dal peso delle scelte che si trovano a dover effettuare riguardo le cure e i trattamenti del figlio, ma anche una frustrazione connessa al senso di impotenza per non riuscire più a proteggere il bambino.
Risultano frequenti anche i sensi di colpa connessi all’eventualità di fattori ereditari che potrebbero aver influito sulla proliferazione del tumore, o ad eventi passati di trascuratezza del bambino, o ancora al non aver desiderato la gravidanza.
Sarebbe auspicabile la collaborazione genitoriale nel corso dell’adattamento alla malattia del bambino, così da facilitare un dialogo sugli eventuali timori reciproci, sulle difficoltà riscontrate e sul peso della patologia oncologica, ma spesso capita che sia solo uno dei due genitori ad assistere il piccolo quotidianamente. Dopo la diagnosi potrebbero verificarsi delle situazioni di triangolazione in cui i genitori iniziano a manifestare iperprotezione verso il bambino tanto da trascurare altre sfere importanti sia della propria vita privata che sociale; questo atteggiamento potrebbe essere percepito dal bambino come anomalo e far accrescere in lui il timore per ciò che gli sta accadendo (Tremolada, 2004).
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2018/09/comunicazione-oncologia-pediatrica/
stateofmind.it 20.9.18

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