MILANO – Un ‘proiettile’ che non viene sparato, ma iniettato. Che non buca il bersaglio, ma lo inonda di radiazioni. E che non provoca danni, se non esattamente nel punto che voleva colpire: uccidendo solo le cellule tumorali. Sono le caratteristiche di un farmaco che combina anticorpi monoclonali a radioterapia, e che secondo gli esperti rappresenta ad oggi il trattamento migliore per il linfoma non-Hodgkin, il piu’ frequente tumore del sangue.
Proprio questo radio-farmaco e’ oggi al centro di un convegno nazionale che, fino a domani, riunisce a Milano 300 tra i massimi esperti italiani di ematologia e medicina nucleare, per discutere del futuro di questa terapia.
”Il radio-farmaco (disponibile in 50 centri italiani) – ha detto Sergio Amadori, presidente della Societa’ italiana ematologia – puo’ essere immaginato come un’arma potente e precisa che, nel sangue, va a cercare la cellula tumorale ovunque sia, poiche’ su di essa e’ espresso un ‘bersaglio’, cioe’ un antigene specifico. Questo consente di portare la radiazione solo sulla cellula tumorale, risparmiando i tessuti sani”. ”Il che si traduce in un notevole miglioramento della qualita’ di vita del paziente – ha aggiunto Franco Mandelli, presidente dell’Associazione italiana leucemie – con questo farmaco inoltre puo’ essere sufficiente un solo ciclo di terapia, seguito da un controllo costante, senza sottoporre il malato a cure che possono portare a complicanze anche gravi”.
I linfomi non Hodgkin rappresentano circa l’80[%] dei casi di tumori del sangue, e contano in Italia circa 12 mila nuovi malati l’anno. Non si conoscono ancora le cause che lo scatenano, anche se sono stati identificati una serie di fattori predisponenti, come l’Aids e le malattie autoimmuni.
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