Limiti di età troppo rigidi fanno sì che gli studi sui farmaci sperimentali siano dedicati a bambini o adulti. Così teenager e giovani adulti finiscono nel «vuoto»
di Vera Martinella
I limiti d’età per l’accesso alle trials clinici devono essere più flessibili per poter consentire anche ai teenager con tumore di aver accesso ai farmaci in sperimentazione. Lo sostiene uno studio pubblicato su Lancet Oncology dai ricercatori britannici del National Cancer Research Institute, che hanno analizzato i dati relativi a bambini e ragazzi (fino ai 24 anni) del Regno Unito che hanno preso parte a un protocollo sperimentale fra il 2005 e il 2010.
«La mancata partecipazione di adolescenti e giovani adulti ai trials clinici è un problema riconosciuto a livello internazionale e potrebbe essere in parte la causa per cui la sopravvivenza dei giovani pazienti con tumore non è migliorata negli ultimi anni come quella di adulti e bambini» scrivono gli autori dello studio, guidati da Lora Fern, responsabile del gruppo di lavoro sui giovani adulti al National Cancer Research Institute inglese. Sono poche le ricerche finora dedicate a questo argomento, ma verificando le informazioni relative al campione preso in esame è emerso che, se i criteri d’età per l’ingresso a un trial sono elastici, sale il numero di bambini e ragazzi che vengono arruolati. In particolare, negli anni considerati, è salita del 13 per cento la percentuale di partecipanti adolescenti (15-19 anni, passando dal 24 al 37 per cento), del 5 per cento quella dei 20-24enni (salita dal 13 al 18 per cento dei malati) e del 6 per cento quella dei piccoli pazienti fino ai 14 anni (cresciuta dal 52 al 58 per cento). Questo grazie all’apertura di trial con maggiore duttilità sull’età dei partecipanti e a una migliore informazione di oncologi e pazienti, resi più consapevoli dell’importanza di avere accesso ai nuovi farmaci.
Gap fra adulti e bambini
«Risulta chiaro dai numeri – dice Fern – che troppi ragazzi finiscono nel vuoto che si viene a creare tra le sperimentazioni dedicate ai bambini e quelle pensate per gli adulti. Sensibilizzando medici e ricercatori ai bisogni dei giovani malati è stato possibile disegnare trials specifici che tengano conto del fatto scientifico che la biologia dei tumori in quella fascia d’età è particolare, diversa, non appartiene agli altri due gruppi. Per cui serve studiare farmaci e dosaggi mirati». In Italia ogni anno sono circa un migliaio i ragazzi fra i 15 e i 19 anni che scoprono di avere un tumore. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di una neoplasia che colpisce il sangue (per lo più leucemia), le ossa o i tessuti molli dell’organismo (sarcoma) e il cervello. Ad oggi circa il 70 per cento degli adolescenti guarisce e nella stragrande maggioranza dei casi può avere una vita normale, del tutto simile a quella di un coetaneo che non ha mai dovuto affrontare il cancro. «La situazione descritta da Lorna Fern nel Regno Unito è simile a quella che si osserva in Italia, ma le cose sono cambiate in questi ultimi anni – commenta Andrea Ferrari, oncologo pediatra responsabile del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e fondatore di SIAMO, Società Italiana Adolescenti con Malattie Onco-ematologiche, progetto su base nazionale che vuole occuparsi delle peculiarità dei pazienti adolescenti malati di tumore -. Occorre migliorare l’accesso alle cure e quindi le probabilità di guarigione, ma anche pensare a programmi dedicati per pazienti speciali che richiedono attenzioni special. SIAMO vuole cambiare la situazione degli adolescenti in Italia: le associazioni scientifiche nazionali di oncologia pediatrica e oncologia dell’adulto si sono messe insieme per rappresentare il riferimento per questi giovani pazienti, con l’obiettivo concreto di creare una rete di selezionati centri dedicati distribuiti sul territorio nazionale».