Il sostegno alle famiglie durante il coronavirus: intervista alla nostra psicologa Maria

leggi l'intervista alla nostra psicologa Maria Perrone

Dopo l’intervista a Cristina per capire come i bambini malati di cancro abbiano vissuto questo lockdown abbiamo intervistato anche Maria, che supporta psicologicamente i genitori dei bambini ospiti della Grande Casa.

Ciao Maria, puoi parlarci del tuo lavoro a Peter Pan?

Sono arrivata a Peter Pan tre anni fa. Il mio lavoro è quello di aiutare le famiglie ad affrontare tutte le implicazioni psicologiche e relazionali conseguenti alla malattia e alle cure. L’obiettivo principale è stato quello di sviluppare una rete di sostegno tra le famiglie, i volontari e lo staff della casa.

Insieme a Cristina che si occupa dei bambini e degli adolescenti cerchiamo di aprire una finestra nel chiuso, un orizzonte possibile all’interno di una vita percepita come tagliata in due.

“Una vita tagliata in due”. Cosa significa per una famiglia ricevere una diagnosi di cancro infantile?

Durante tutto l’iter della malattia, ci si trova ad affrontare un processo emotivo che attraversa tre fasi: in una prima fase i genitori si sentono impotenti, incapaci di affrontare la vita; in una seconda fase si confrontano con le perdite dovute alla malattia e ai trattamenti per raggiungere, in una terza fase, un nuovo equilibrio, un adattamento che è facilitato dalla possibilità di condividere il dolore e la sofferenza.

C’è un prima e un dopo quindi. Il dopo per molto tempo sarà caratterizzato dalla paura della ripresa della malattia. Le famiglie devono trovare le risorse per riprendere la loro vita convivendo per molto tempo con questa paura.

Come ha cambiato il Coronavirus il tuo lavoro a Peter Pan

In un primo momento, mi sono sentita tagliata fuori da una rete di relazioni che è la base della funzione terapeutica per le famiglie ospiti di Peter Pan.

È sorta, quindi, la necessità di un confronto quotidiano sempre con Cristina e con Julia la responsabile del volontariato, al fine di preservare la relazione e il supporto emotivo alle famiglie.

Anche la situazione che stiamo vivendo oggi rispetto al coronavirus rappresenta un trauma psicologico, non soggettivo e familiare, ma collettivo. Il compito di tutti noi non riguarda più solo il nostro lavoro terapeutico con le famiglie ma anche trovare una finestra nell’isolamento che è diventata una condizione collettiva. Dobbiamo aiutare le famiglie a rendere possibile il pensiero del futuro non solo dopo il cancro, ma anche dopo il coronavirus. Noi stessi dobbiamo riuscire ad immaginare un futuro possibile per poter aiutare e supportare chi già deve confrontarsi con l’esperienza traumatica della malattia del proprio figlio.

Cosa hanno in comune il Coronavirus e il cancro?

Il coronavirus condivide con il cancro la caratteristica di essere inatteso ed inimmaginabile.  Questo spiega la prima reazione delle famiglie ma anche di tutti noi: l’impossibilità di attivare delle difese adeguate per fronteggiarlo. Come nel trauma del cancro, in un primo momento ci siamo trovati tutti impreparati, spaventati, inermi. Ci siamo sentiti impotenti. Il virus è un nemico invisibile che non permette di distinguere tra amico/nemico, interno/esterno. È l’amico stesso che può essere portatore del male ed è per questo che la prima reazione è una angoscia persecutoria: la paura dell’altro.

La prima risposta terapeutica è stata quindi il distanziamento sociale che ha avuto un effetto positivo non solo sul contenimento della diffusione ma a livello emotivo favorendo un senso di protezione. Per le famiglie di Peter Pan però ha significato anche perdere quella rete di supporto sociale che aveva una importante funzione terapeutica.

E adesso, cosa dobbiamo aspettarci in questa fase due?

Tutti noi ci chiediamo quando e se mai potremo ripartire come prima. Il cambiamento però ci spaventa, lo viviamo come una minaccia all’equilibrio che avevamo raggiunto.

Non torneremo subito a vivere come prima, ma dovremo imparare a convivere con il virus, dovremo ricominciare sapendo che la ripresa della vita non coinciderà con la sconfitta del virus. Non sarà possibile separare il coraggio della ripresa con la paura del contagio. Anche chi si sta confrontando con il cancro sa che dovrà convivere per molto tempo con la paura del ritorno della malattia. Il compito di tutti noi è provare ad integrare la vita con la morte, il coraggio con la paura, così come fanno quotidianamente le famiglie con bambini oncologici.

Come in un incubo, il trauma ci sveglia da un sonno: questo virus ci confronta con la consapevolezza che nessuno si salva da solo. La forma più alta di libertà, infatti, non è l’individualismo ma la solidarietà. La libertà non è fare quello che si vuole ma è il pensiero della connessione con l’altro.

Maria Perrone è Psicologa, Psicoterapeuta e Psiconcologa II L Certificata dalla Società Italiana di Psiconcologia (SIPO). E’ Segretaria della Società Italiana di Psiconcologia Lazio (SIPO Lazio)

EMERGENZA CORONAVIRUS

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