Telefonini assolti per il tumore al cervello.

Uno studio su 400 mila persone durato 18 anni non ha riscontrato differenze fra chi usa il cellulare e chi no
MILANO – Quando si parla di scienza e medicina, è difficile dare risposte definitive. Ma se quella uscita in queste ore sul British Medical Journal non è ancora un’assoluzione definitiva per i cellulari, certo le va molto vicino. Il più grande studio finora mai condotto sull’argomento non ha infatti trovato alcun legame tra l’utilizzo dei telefonini e lo sviluppo di tumori al cervello: su tutti gli abbonati a un servizio di telefonia mobile in Danimarca tra il 1982 e il 1995 non si è registrato un maggior numero di malati rispetto a chi allora non aveva ancora il telefonino.
LO STUDIO- «Abbiamo preso in considerazione tutti coloro (più di 400 mila persone) che hanno stipulato un contratto di telefonia mobile tra il 1982 e il 1995 in Danimarca e siamo riusciti a seguirne quasi 360 mila per ben 18 anni» spiegano i ricercatori dell’Istituto di epidemiologia oncologica di Copenaghen che hanno coordinato il lavoro.«Nel 1996 e poi di nuovo nel 2002 abbiamo confrontato la frequenza di tumori in questo gruppo di persone rispetto a quella che si è verificata nella popolazione generale» proseguono, «ma né allora né a un ulteriore controllo ripetuto nel 2007 abbiamo trovato nessuna differenza significativa tra chi da molti anni usava il cellulare e chi invece no».
LA STORIA- Nell’altalena tra gli studi che periodicamente gettano sospetti sul fatto che l’uso diffuso ed esteso dei cellulari possa favorire il cancro e quelli che invece non trovano riscontro pratico a questi timori, non c’è dubbio che, anche prima di questa ulteriore conferma, le ragioni della rassicurazione abbiano avuto finora sempre la meglio. I segnali d’allarme infatti sono venuti per lo più da ricerche condotte su animali e pubblicate su riviste di second’ordine, mentre quelle su più ampia scala come Interphone, un’indagine condotta in 13 diversi Paesi,compresa l’Italia, intervistando più di 10 mila persone, hanno sempre dato risultati più rassicuranti. Neanche l’ombra di una prova per varie forme di cancro chiamate in causa in passato, come linfomi, leucemie o altri tumori della testa e del collo, per esempio a carico delle ghiandole salivari. Qualche dubbio rimaneva solo per chi riferiva di aver passato al telefono da 5 a 12 ore al giorno per più di 10 anni: in questa ristretta categoria di persone i ricercatori avevano trovato un leggero aumento del rischio di tumori del cervello detti gliomi e di formazioni al nervo acustico, chiamate neurinomi, benigne ma che possono compromettere l’udito. Ed è solo per prudenza e sulla base di questo dato che la International Agency for research on Cancer di Lione qualche mese fa ha rivisto la classificazione delle onde elettromagnetiche emesse dai cellulari, definendole “possibly carcinogenic”, non avendo ancora i dati per escludere definitivamente che in qualche modo e ad altissimo grado di esposizione esse possano favorire l’insorgenza della malattia.
ONDE E RADIAZIONI-«Prima di tutto occorre chiarire che i telefonini non emettono radiazioni ionizzanti come quelle usate per le radiografie, capaci di provocare mutazioni del DNA, ma solo onde radio con frequenze vicine a quella utilizzata dai forni a microonde» ha ribadito più volte Paolo Vecchia, esperto fino a poco tempo fa in servizio presso l’Istituto Superiore di Sanità. «E non è mai stato dimostrato che questo tipo di onde induca nelle cellule e nei tessuti trasformazioni pericolose».
SPERIMENTAZIONE GLOBALE- D’altra parte la sperimentazione in un certo senso riguarda ormai tutta l’umanità, o quasi: «Nel 2009 più di 5 miliardi di persone nel mondo facevano uso di un cellulare» spiega John Boice, direttore dell’International Epidemiology Institute di Rockville e docente della Vanderbilt University School of Medicine, in un editoriale pubblicato questa estate sul Journal of National Cancer Institute. «Se il suo utilizzo potesse favorire in qualche modo lo sviluppo del cancro, dopo vent’anni o più che questo oggetto è diventato di uso comune, almeno nei paesi più ricchi, dovremmo cominciare a registrare un aumento sensibile dei casi di tumore al cervello. Un aumento che per fortuna non è stato osservato, neppure tra gli adolescenti che in teoria potrebbero essere più vulnerabili, soprattutto se hanno cominciato a usare l’apparecchio fin da piccoli». Anche per i più giovani pare quindi che si possa stare tranquilli. Un studio che ha preso in considerazione l’uso del cellulare negli anni precedenti alla diagnosi in oltre 350 ragazzi svizzeri e scandinavi a cui è stato diagnosticato negli ultimi anni un tumore al cervello ha dimostrato che quelli che poi si sono ammalati non avevano fatto un uso più smodato di questo strumento rispetto ai loro coetanei sani.
LIMITI E FORZA- Si potrebbe obiettare che anche questa ricerca più ristretta ha però gli stessi limiti metodologici del grande studio Interphone. Sono studi condotti con una modalità che gli esperti definiscono “di caso-controllo”, confrontando l’uso del telefonino nelle persone ammalate e in un numero superiore di altri individui sani, simili ai primi per sesso ed età. È facile sbagliare, dovendo dire quanto tempo si stava al telefono vent’anni prima, quante telefonate si ricevevano e così via. È facile ricordare male, ma anche esagerare per il senso di colpa conseguente alla malattia o viceversa minimizzare per giustificarsi, nel timore che un abuso possa averla favorita. «Ma il nostro lavoro non è stato condotto così» precisano gli esperti danesi, che non si sono basati su interviste ma sui dati inequivocabili degli abbonati ai servizi di telefonia e di quelli provenienti dal registro dei tumori danese. «Abbiamo preso in considerazione tutta la popolazione con più di trent’anni nata in Danimarca dopo il 1925 e anche dopo dieci anni di telefonate non abbiamo trovato prova di un aumento del rischio: solo per chi ne ha fatto un uso ancora più prolungato e molto intenso non ce la sentiamo ancora di escludere del tutto la possibilità di un leggero aumento delle probabilità di ammalarsi. Per questo ben vengano altre ricerche anche più estese, se possono tranquillizzare anche i più scettici».
Roberta Villa

FONTE: corriere.it – 21 ottobre 2011

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