Progressi enormi grazie allo studio del nostro sistema di difesa Alberto Mantovani Lo scienziato italiano più «citato» nel mondo, spiega quanto un campo della medicina poco noto abbia inciso sulle nostre vite.
Ogni scienziato ha contratto un debito nei confronti dei propri simili: presentare il frutto dei suoi studi nella forma più chiara, più semplice e più modesta possibile (Karl Popper) Non solo la terapia, ma anche la diagnostica è stata trasformata profondamente dai progressi nella conoscenza del nostro sistema di difesa.
Un mondo popolato di strani personaggi, quasi disneyani. Sentinelle e soldati, vigili del traffico e poliziotti buoni o corrotti, musicisti e postini, mangiatori e supermangiatori. C’ è persino un personaggio, l’ Interferon, il cui nome deriva dai fumetti di Flash Gordon. La fantasia delle metafore si spreca nell’ universo complesso che Alberto Mantovani, uno degli immunologi più prestigiosi al mondo, ha voluto raccontare in un libro per tutti, “I guardiani della vita”. Nella prefazione, citando Karl Popper, ricorda che “ogni scienziato ha contratto un debito nei confronti dei propri simili: presentare il frutto dei suoi studi nella forma più chiara, più semplice e più modesta possibile”. Non possiamo che condividere. Ma non c’ è il rischio che la complessità della materia sia ormai tale non poter essere più compresa, comunicata, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori? «Non solo, ma c’ è una reale difficoltà a comunicare anche all’ interno della stessa comunità scientifica. Una volta era semplice: c’ erano macrofagi e microfagi , poi chiamati neutrofili. Oggi sappiamo che nell’ uomo ci sono 46 geni diversi che sovrintendono alla produzione di proteine del sistema immunitario e ciascuno ne produce un numero x. Io ho partecipato alla definizione della nomenclatura di questi “oggetti” e sono uno dei 3 o 4 al mondo che conosce i “nomi” e così mi chiamano per chiarimenti. Ma non è vero che li so, mica me li ricordo a memoria…». Difficile allora spiegarsi ai medici, e tanto meno ai pazienti… «Ma la pratica poi aiuta, semplifica, perché nel frattempo da queste ricerche nascono dei farmaci. Prendiamo ad esempio le due più importanti novità che vengono dall’ immunologia. Uno è un farmaco per il melanoma, che tecnicamente è un anti-CTL antigen 4 . Non è tanto facile far capire che cosa vuol dire questa sigla. Ma forse basta sapere che questo farmaco va ad aggredire una cellula tumorale non direttamente, ma bloccando altre cellule negative, quelle che chiamo nel libro i “poliziotti corrotti”, che impediscono al sistema immunitario di intervenire. Nel suo campo è il primo farmaco approvato che cambia la sopravvivenza in modo deciso. Purtroppo funziona in pochi specifici pazienti, ma in quelli funziona bene. C’ è poi un nuovo farmaco per il lupus, dopo 30 anni finalmente qualcosa che migliora la terapia, che interagisce con uno dei cosiddetti fattori di necrosi tumorale (TNF), che è una citochina il cui nome non c’ entra niente ormai con le sue funzioni. Per questo preferisco parlare di “poliziotti” o chiamare le citochine “parole molecolari”, perché servono a comunicare all’ interno del sistema immunitario». A parte il caso dei vaccini, che sono “popolari”, e il cui meccanismo è relativamente facile da comprendere, forse sfuggono, per la complessità della materia, gli altri successi dell’ immunologia. Anche perché ci sono state grandi promesse, come gli anticorpi molecolari, le interleuchine e altre possibili panacee, che poi sono sembrate deludenti. «In realtà è avvenuta una rivoluzione silenziosa che è rimasta in qualche modo sotto traccia. Usare gli anticorpi per curare è un sogno che risale alla fine dell’ 800 e gli anticorpi monoclonali sembravano poter realizzare questo sogno. Poi ci sono state molte frustrazioni. Ma oggi la diagnostica non potrebbe farne a meno: esami come il Psa per la prostata, la proteina C reattiva, la diagnostica dell’ Hiv, la tipizzazioni dei tumori utilizzano tutti anticorpi monoclonali. E alla fine degli anni ‘ 90 viene introdotto un anticorpo per la cura del linfoma a cellule B che apre la strada. Oggi vengono usati per il tumore alla mammella, per il cancro al colon, per le malattie infiammatorie dell’ intestino. «L’ altro grande sogno era utilizzare gli anticorpi per trasportare farmaci in modo mirato: sembrava la soluzione di tutti mali. L’ idea risale al 1964, poi ci sono stati 47 anni di frustrazioni. All’ inizio di quest’ anno l’ Fda ha approvato il primo farmaco coniugato (farmaco trasportato da anticorpo) per un tipo di linfoma. E ce n’ è una valanga in sperimentazione clinica. Lo stesso discorso vale per le interleuchine, come l’ Interferon. Non sono la panacea, ma oggi hanno un uso codificato in alcuni tipi di tumori e sono fondamentali nella cura dell’ epatite». Lo sviluppo è vorticoso ma la medicina continua a richiedere tempi lenti.. «È proprio così. Non ci sono panacee e la strada è lunga per arrivare ai letti dei malati e nei laboratori. Ma ci si arriva, spesso per strade tortuose non previste all’ inizio. Peraltro la scienza è fatta di dubbi, di incertezze, soprattutto quando è così complessa. Pensi che nella serie delle interleuchine ce n’ è una, la 14, che viene chiamata “fantasma”. Per il semplice motivo che non esiste. Ma quando lo si è scoperto era troppo complicato cambiare tutta la numerazione…». Nel frattempo l’ immunologia deve affrontare anche il rischio di nuove epidemie. E qui serve velocità. «È un fatto che dobbiamo sempre più confrontarci con nuovi patogeni, perché aumenta la mobilità della popolazione e con lo sviluppo aumentano i contatti con specie diverse di animali. È certo preoccupante ma sono ottimista, purché sappiamo prepararci adeguatamente, ci sia collaborazione internazionale e trasparenza per scoprire rapidamente chi è il nemico e da dove viene. Il caso dell’ epidemia di una variante di Escherichia Coli, quest’ estate è significativo: sono bastati due mesi per capire e bloccare l’ epidemia. Un tempo un ricercatore doveva dedicarci la vita. Un domani, speriamo, che si possa fare in due giorni». Il libro «I guardiani della vita» (Dalai editore) è il libro appena pubblicato da Alberto Mantovani per spiegare ai «non addetti ai lavori» come funziona il sistema immunitario Il progetto Diffondere la condivisione del sapere La sfida più grande da affrontare resta fuori dai laboratori. È quella che Alberto Mantovani definisce la condivisione del sapere e degli strumenti, a livello mondiale. Troppo numerose infatti sono le popolazioni che non possono usufruire dei successi dell’ immunologia, e non quelli recenti e d’ avanguardia, ma quelli ormai consolidati. «Disponiamo per esempio di un vaccino contro Il Papilloma virus. Eppure pochi sanno che, escludendo l’ età infantile, la prima causa di anni di vita persi nelle giovani donne africane non è l’Aids o la malaria, ma proprio il Papilloma virus. Questo per non parlare della mortalità infantile: tre milioni di bambini ogni anno muoiono nei Paesi poveri per cause che potrebbero essere evitate». Per questo Mantovani è più volte intervenuto a sostegno dell’ attività della GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunisation), organizzazione non governativa sostenuta però anche da diversi governi, dall’ Oms e dalla Banca Mondiale, e da associazioni e fondazioni pubbliche e private, che si propone di ridurre di tre quarti la mortalità infantile entro il 2015. In particolare la lotta si concentra nella diffusione e distribuzione dei vaccini contro il rotavirus, che provoca la diarrea infantile e contro la polmonite da pneumococco, che sono i due principali killer nella popolazione infantile. (Renzi Riccardo)
Fonte: corriere.it – 2.10.2011