Nuove cure anticancro ferme «Ci manca il laboratorio»

Burocrazia contro la Cell Factory, dove si lavorano le cellule. L’allarme degli scienziati. L’ospedale: «Serve solo un documento»

PADOVA—Gli scienziati padovani hanno messo a punto una nuova terapia contro i tumori, riservata ai malati che non rispondono alle cure tradizionali e basata sull’utilizzo delle loro stesse cellule modificate per contrastare la malattia, ma non possono trasferirla alla pratica clinica. Perchè manca la «Cell Factory», ovvero il laboratorio nel quale «coltivare» e moltiplicare i linfociti da direzionare contro la massa neoplastica. I ricercatori di tutto il Veneto aspettano questa struttura—che consente di «lavorare» anche staminali e virus—dal 1990, ma il progetto mandato avanti dall’Università di Padova, responsabile dell’opera fino al 2009, è stato superato dalle nuove leggi in materia. E così l’Azienda ospedaliera della città del Santo, da due anni «gestore» dell’impresa, ha dovuto ricominciare tutto daccapo.

Il progetto è stato approvato dalla Regione, che lo ha finanziato con 3,6 milioni di euro, ma quest’estate ha mandato i propri tecnici a compiere un sopralluogo negli spazi dedicati e tutto si è bloccato di nuovo. Gli esperti di Palazzo Balbi hanno infatti suggerito di riservare alla «Cell Factory» oltre ai due piani ricavati in un edificio dell’Azienda ospedaliera di via Orus, a Padova, anche un sottotetto, utile ad accogliere la strumentazione. Il direttore generale Adriano Cestrone ha dovuto recepire tale modifica con una delibera da trasmettere in Regione, per l’approvazione definitiva. «La stiamo ultimando, è questione di giorni—assicura il manager — dopo il via libera, indiremo la gara d’appalto per affidare i lavori e compreremo la tecnologia necessaria. Ci vorrà almeno un anno per inaugurare il laboratorio». Dalla Regione assicurano che, una volta ricevuta la delibera da Padova, «il sì è garantito in 5 minuti», ma è in sede di validazione anche la richiesta di andare in gara, secondo la legge europea affidata a una società esterna perchè l’importo supera i 50 milioni di euro. «Faremo il possibile per accelerare al massimo la burocrazia — annuncia l’assessore alla Sanità, Luca Coletto—in ballo ci sono tante vite».

Parole confermate dal professor Antonio Rosato, ricercatore del Dipartimento di Scienze oncologiche e chirurgiche dell’Ateneo padovano, che spiega: «Il futuro nella cura dei tumori è l’immunoterapia, che aggredisce le neoplasie attraverso la stimolazione diretta del sistema immunitario, con i vaccini anticancro, o fornendo passivamente al paziente le armi, cioè anticorpi o cellule attivate, del sistema immune stesso. Finora i vaccini hanno dimostrato una limitata efficienza, mentre l’immunoterapia passiva apre scenari più interessanti. Noi abbiamo i linfociti T capaci di bersagliare il tumore, ma sono pochi, e allora dobbiamo portarne in vitro un campione, espanderlo e ritrasferirlo nel malato. Ci vogliono almeno 100 miliardi di cellule a paziente». Ma per isolare il Dna dei linfociti T, moltiplicarli, conferire loro l’azione antitumorale e metterli su un virus per veicolarli nel corpo del malato ci vuole un ambiente adatto. Un iter tanto complesso, che «educa » le cellule a riconoscere e a combattere la malattia, non può essere affrontato in un semplice laboratorio. «Noi abbiamo costruito in vitro un virus- vettore e guarito i topi dal tumore, ma per passare alla pratica clinica abbiamo bisogno della Cell Factory—rivela il professor Rosato —. Se l’avessimo potremmo adottare, per iniziare contro il melanoma, un trattamento per ora utilizzato solo in America e che rispetto alle cure tradizionali ha meno effetti collaterali e non è tossico».

La Cell Factory servirebbe a «ingegnerizzare » cellule anche per curare certi tipi di linfomi nei bambini. «Già adesso, per trattare piccoli che non rispondono ai farmaci, usiamo le loro cellule modificate in vitro—conferma il professor Angelo Rosolen, associato di Pediatria a Padova— ma ce le devono lavorare a Pavia. Dove poi anche il paziente è costretto a trasferirsi per completare la terapia, con disagi per lui e tempi più lunghi per tutti. Eppure a Padova siamo stati i primi a dimostrare che tale procedura è l’ideale per contrastare un determinato sottotipo di linfoma ». L’équipe di Rosolen sta inoltre studiando nuovi farmaci contro leucemie e linfomi e il modo di individuare i bimbi bisognosi di una terapia più intensa, e talora di trapianto di midollo, per guarire.
Michela Nicolussi Moro

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