Quando i soldi potrebbero essere tutto…

«La piccola è stata curata, ora deve pagare il conto»
IL CASO. La mamma ha 23 anni e non ha i soldi chiesti dal Civile. Massimiliano Nicolini, presidente della Fondazione Caritate Christi Compulsi: «Deliada ha solo 20 mesi. Il nostro ospedale era stato autorizzato a curarla»
23/08/2011
L’oncoematologia pediatrica del Civile durante una visita dei calciatori del Brescia. È venuta in Italia dall’Albania per curare la figlia di venti mesi malata di tumore. Ora l’Ospedale Civile le chiede un conto di 49mila euro. Quella di Eralda Graci e della piccola Deliada è un’odissea burocratico-sanitaria che ha inizio poco più di un anno e mezzo fa a Tirana. Subito dopo la nascita, a Deliada è stato diagnosticato l’astrocitoma pilocitico del chiasma, un tumore che colpisce il cervello e in prevalenza le terminazioni nervose ottiche.
Alla brutta notizia per la madre 23enne se ne aggiunge un’altra: l’ospedale «Nene Tereza» di Tirana non è in grado di somministrare alla bambina una terapia completa. La speranza si indirizza allora verso quell’ospedale (il Civile) che, unico caso nel proprio Paese, ha le capacità per assistere Deliada. Nel gennaio di quest’anno madre e figlia arrivano così a Brescia e Deliada intraprende un percorso di cura nel reparto di oncoematologia pediatrica della struttura cittadina.
LE COSE PROCEDONO per il verso giusto fino a qualche giorno fa: il 17 agosto un’infermiera dell’Ospedale Civile, invece di accompagnare Eralda e la figlia a fare gli esami, presenta alla donna un conto di 49.000 euro per le cure somministrate e «di fatto invitandola a lasciare l’ospedale senza cure, senza visita e soprattutto con il chiaro messaggio di non poter più avere accesso al sistema di sanità e alle cure che ora tengono in vita la piccola, a causa del debito accumulato». A raccontare l’accaduto è Massimiliano Nicolini, presidente della Fondazione Caritate Christi Compulsi onlus di Brescia, che segue la vicenda delle due albanesi.
Secondo quanto spiegato dalla Fondazione, la struttura sanitaria chiederebbe a Eralda di pagare le cure somministrate da marzo a luglio 2011, quando cioè la piccola era «in una situazione ibrida». «Cioè – commenta Nicolini – aveva solo un “visto» turistico poi scaduto ma aveva comunque il certificato Stp del Sistema sanitario nazionale, che autorizza gli enti ospedalieri a somministrare servizi e cure alla stessa stregua di quelle dovute a qualunque cittadino italiano». Questioni burocratico-amministrative sarebbero alla base della somma richiesta da parte dell’ospedale Civile di Brescia.
Deliada è arrivata a Brescia regolarmente – racconta il presidente di Caritate Christi – grazie alla liberalizzazione dei visti di ingresso tra Italia e Albania, e il sistema nazionale di sanità italiano le ha rilasciato subito il certificato Stp. A luglio poi il Tribunale di Minori di Brescia autorizza lei e la madre alla permanenza ex art.31, l’ autorizzazione alla permanenza in Italia al fine di garantire assistenza ai minori da parte dei genitori sprovvisti di permesso di soggiorno.
Ad aggravare la situazione, c’è il fatto che la giovane madre (al momento ospite insieme alla figlia della casa di accoglienza La Dimora) non lavora per assistere la figlia, e i soldi risparmiati in Albania con il suo impiego da insegnante non bastano nemmeno per le medicine della figlia. «Il Civile non prescrive nemmeno più le ricette per i medicinali della bambina», sottolinea Nicolini. A lasciare l’amaro in bocca anche il trattamento che – secondo il racconto di Nicolini – è stato riservato alla bambina nella giornata del 19 agosto.
Deliada, dopo una notte difficile, è stata accompagnata all’ospedale, e fino all’apertura degli uffici amministrativi visite ed esami sono stati eseguiti senza problemi»,
Ma alle 8.30 con nostro grande stupore «tutto si è fermato», ricostruisce Nicolini. Un peregrinaggio in cerca di aiuto è così iniziato nei corridoi dell’ospedale «mentre la bambina rimaneva senza idratazione, alimentazione e cure». «L’ospedale – continua – in via non ufficiale ci ha detto che per motivi economico-amministrativi non si poteva procedere al ricovero e agli esami come Tac e risonanza magnetica già programmati».
A oggi la condizione di Deliada è ancora precaria – spiegano alla Fondazione -: «Non avendo il supporto da parte dell’ospedale, la madre è obbligata ad acquistare le medicine per poter effettuare medicazioni e altri presidi; inoltre deve provvedere in automia alle medicazioni obbligatorie dovute alla presenza dei sondini per alimentazione».
Di ieri è la notizia che madre e figlia hanno ottenuto il permesso di soggiorno per un anno dalla Questura di Brescia, insieme alla tessera sanitaria. I documenti faranno stare tranquilla per un po’ di tempo Eralda, anche se sulle sue spalle pesano come un macigno i 49 mila euro chiesti alla donna dal Civile. «Deliada sta sopravvivendo anche grazie all’aiuto di un bambino bresciano nelle sue condizioni: la famiglia ha acconsentito a dividere cone lei i medicinali necessari». Interpellato, l’Ospedale ha annunciato che darà oggi la sua versione dei fatti.
Silvia Ghilardi

http://www.bresciaoggi.it/

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